La nostra vita negli ultimi mesi, in moltissime occasioni, è cambiata così tanto da non riuscire a cambiare affatto.
Molte abitudini sono rimaste le stesse, molte altre invece hanno preso direzioni ben distinte da quelle vissute nei mesi in cui tutto era lontano da Torino.
Tutto questo però, seppur rimasto invariato o mutato in qualcosa di diverso, ha decisamente un sapore differente da quello che era il passato. Oserei dire migliore, con presunzione.
Ha un sapore diverso perché non dobbiamo contare i giorni per ricongiungerci.
Ha un sapore diverso perché abbiamo modo di scegliere se e quando fare qualcosa.
Ha un sapore diverso perché possiamo stare insieme sempre. Ma sempre davvero.
Siamo passati dal vivere programmando pochi attimi importanti al vivere serenamente il quotidiano, la routine e queste giornate spesso improvvisate.
Improvvisate perché poco importa che fuori ci sia il sole o la pioggia.
Poco importa se possiamo uscire per fare una passeggiata o se si decide di stare chiusi in casa e poco importa cosa venga proposto: il potersi coinvolgere a vicenda è l’unica cosa che per noi ormai conta.
Vivere per un intero anno separati senza potersi sentire davvero una famiglia, seppur ci abbia fortificati, ci permette di vedere il bello soprattutto nelle piccole cose.
Ci permette di godercele davvero e capirne nel profondo l’importanza di questi momenti che, solitamente, in una famiglia che non ha vissuto le nostre stesse esperienze, si danno fin troppo per scontati.
Abbiamo imparato a prenderci del tempo per noi trasformandolo da tempo di quantità in tempo di qualità. Anche “forzatamente”.
Perché ognuno di noi ha impegni quotidiani: dai più semplici come il frequentare un asilo nido ai più, forse, impegnativi, come il dover lavorare per contribuire alla stabilità familiare.
Ma quando arriva il venerdì pomeriggio nessun programma, nessuna previsione, nessun intoppo ci impedisce di trascorrere quarantotto ore l’uno accanto all’altro. Inconvenienti o progetti organizzati in anticipo permettendo.
Ed è così che abbiamo vissuto quasi tutti gli ultimi weekend: chiusi in casa, osservando la pioggia guastare qualche piano messo in programma. Piani dei quali, in fondo, poco ci sarebbe importato.
Perché non serve obbligatoriamente organizzarsi per riuscire ad essere felici tutti insieme.
Quello che infatti da tempo ho capito, e che forse persino i miei figli sono riusciti a comprendere, è che basta davvero poco per riuscire a divertirsi per ore ridendo fino a far uscire le lacrime dagli occhi.
Dal più piccolo al più grande.
Abbiamo passato pomeriggi variando i nostri passatempi: dal disegno al gioco di carte abbiamo saputo farci coinvolgere tra un sorriso e una sconfitta.
Abbiamo condiviso momenti semplici facendoli diventare unici e, tra questi, da amanti della tecnologia – soprattutto per chi come me con la tecnologia ci lavora ogni giorno – abbiamo anche goduto di quello che per anni ho aspettato di far conoscere ai miei bambini: i videogiochi.
Ma non dei videogiochi qualunque: gli stessi o comunque similari a quelli che utilizzavo io da bambina.
Credo infatti di aver già raccontato il mio amore per le console. Un amore spesso celato dal fatto che non vorrei più essere scambiata per una bambina nonostante nel profondo mi ci senta spesso.
Dopo aver trascorso una vita da nerd so infatti per certo che questa passione non è mai svanita, non si è mai attenuata, non si è mai modificata. Così come per le passioni verso quei personaggi che hanno fatto la storia dei videogiochi: nel mio caso Super Mario.
Sfido nel trovare un trentenne che non abbia mai provato a giocare ad uno qualsiasi dei giochi, dove Super Mario è protagonista, presentati negli anni da Nintendo.
Sfido chiunque nel non riconoscere il suo cappello rosso, la sua salopette blu o i suoi baffoni neri.
Sfido tutti perché so che vincerei. Visto che, per quanto mi riguarda, aver vissuto un infanzia senza Super Mario è come dover osservare un fiore spogliato dai suoi petali.
E prima o poi sapevo che questa tappa sarebbe toccata anche ai miei bambini. Volevo che fosse così.
Perché credo che il mondo dei videogiochi, se ben fatti, debbano essere una tappa quasi obbligata dell’era odierna.
Un mondo che porta inevitabilmente i nostri figli nel dover conoscere anche queste situazioni e noi, dopo aver avuto un assaggio del videogioco Super Mario Kart, abbiamo finalmente avuto modo di trascorrere ore a ridere e divertirci nelle giornate più piovose grazie a Super Mario Party.
Un gioco che presentato con questo nome da già l’idea possa essere qualcosa di divertente. Il problema di fondo è solo riuscire ad imaginare quanto.
Super Mario Party ha dato una svolta ai nostri weekend privi di voglia di uscire.
Ci ha permesso di coinvolgerci l’un l’altro in sfide alla portata di tutti. Sfide dove io e mio marito abbiamo saputo dimostrare ai nostri figli di essere, spesso aggiungerei, addirittura più piccoli di loro.
Quelle situazioni che ti fanno comprendere che delle volte l’età anagrafica non rispecchia affatto quella che ci si sente dentro.
Osservare tutti i personaggi che in trent’anni sono diventati i migliori amici o antagonisti di Super Mario in un solo gioco: da Luigi a Wario, da WaLuigi a Rosalinda.
E l’imbarazzo della scelta nel selezionare il proprio personaggio è l’unica parte davvero complicata di tutto il gioco: li vorresti tutti ma ne puoi scegliere uno solo. Per volta ovviamente.
E poi il percorso da dover vivere tutti insieme, le decine di giochi da poter selezionare e che ti mettono alla prova in abilità che nella vita normale ti annoierebbero a morte se non fosse che invece, girando con Super Mario Party, ti fanno tagliare in due dal ridere.
Un modo di giocare che ti fa essere tutti contro tutti e tutti insieme a tutti, simulando movimenti consigliati dai vari livelli per poter vincere sia i mini giochi che le stesse sfide primarie.
Passiamo questi pomeriggi saltando per scegliere il numero dei passi che dovremmo fare lasciando un dado, pulendo le finestre di un palazzo pieno di schiuma, marciando veloci con un bastone come quelli delle majorette, ballando a ritmo di musica, andando a cavallo, disegnando delle forme geometriche con i fili, raccogliendo monete e esplorando moltissimi altri giochi ancora per i quali andrebbe scritto un post a parte. Forse due.
Un gioco che ha entusiasmato i bambini e persino il marito. Pantofolaioinside.
Di me invece è inutile parlare. Perché una nerd del mio calibro non potrebbe mai non amare un gioco come questo.
Un gioco di società virtuale dove puoi metterti alla prova con il proprio corpo e con il proprio intelletto, spesso sincronizzandoli, ma senza un tabellone statico da fissare. Bensì utilizzando dei veri e propri personaggi da interpretare e a cui dover dire così fare facendolo a nostra volta.
Un gioco che io amo definire, senza troppi mezzi termini, una figata.
Nonostante la meravigliosa scoperta, rimango comunque del parere che, come per ogni cosa, non bisogna mai esagerare. Ma sono anche convinta che fare della propria fantasia qualcosa che in qualche modo riesca a diventare reale, sia un passo avanti per questo mondo che spesso fa si di vedere gli altri protagonisti di qualcosa.
Con Super Mario Party lo si può essere in prima persona esplorando mondi fantastici e utilizzando l’intelletto.
Un gioco che ti insegna a vivere il virtuale senza esagerare ma che ti coinvolge come un gioco da tavolo da fare potendoti però mantenere in movimento.
Nulla di statico e tanto movimento è quello che ci ha conquistato di questo gioco.
Riuscendo a metterci tutti d’accordo sul fatto che attendere la domenica, significhi anche sperare possa piovere lo stretto indispensabile per decidere di stare casa al calduccio.
Avendo la scusa di stare tutti insieme in una piccola stanza saltando vicino l’uno all’altro, ridendo insieme e provando ad avere la meglio sul nostro vicino di gomito.
Perché vincere o perdere a questo gioco è diventato poco importante. L’importante è solo divertirsi vivendosi tutti e cinque, si… Enea compreso, e con Super Mario Party è impossibile non riuscirci.
<Post in collaborazione con Nintendo>