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Piccoli sosia

by Giada Lopresti

Ho sempre amato la moda per decine di motivi.
Ho iniziato ad amarla da ragazzina quando senza un paio di scarpe Buffalo, dei jeans Levis 501 e un bomber Walls (nero o beige poco importava) non eri praticamente nessuno.

Un amore trasformato con il tempo in una vera e propria dipendenza che non mi ha mai abbandonata.

Il mio primo lavoro è stato proprio quello di dover vendere vestiti. Una commessa oggi meglio definita dal popolo come venditrice o assistente alla vendita.
Avevo soli diciotto anni e un intero mondo da conquistare.

Fu solo un piccolo lavoretto lavoro estivo che mi fece però capire quanto fosse così adatto a me. Mi fece trovare quell’ispirazione che per dieci lunghi anni mi è appartenuta tra la vendita di abbigliamento esclusivamente femminile e quello sportivo uomo, donna e bambino.

Ci fu un periodo, uno di quelli che ricordo con più piacere, dove l’avere a che fare con più tipologie di persone (dal neonato al novantenne) riusciva darmi soddisfazioni che mai fino ad allora avevo provato.
Soprattutto quando dovevo servire dei genitori alle prese con i più piccolini, un vero e proprio allenamento per imparare taglie e misure che non riuscivano davvero ad entrarmi in testa.

A quei tempi infatti se mi avessero parlato di una taglia tre mesi o tre anni, per me sarebbe stata la stessa identica cosa.
Ho perso il conto di quante scarpine da culla sia riuscita a vendere nella mia carriera professionale eppure, nonostante tutto, avevo continue difficoltà nel sapermi regolare con le misure.
E devo ammettere che per l’abbigliamento bimbo non è che andasse molto meglio.

Di tanto in tanto mi infilavo in qualche negozio per bambini.

Negozi dove, primeggiando taglie dagli zero mesi alla pre adolescenza, cercavo di tradurre e studiare le differenze misura dopo misura.
Osservavo i bambini accompagnati per indovinare di che taglia potessero aver bisogno ma tutti i miei sforzi erano perennemente tempo sprecato. Amavo avere a che fare con i bambini, ma tra me e il doverli vestire c’era un ripidissimo muro scivoloso sul quale non potersi nemmeno arrampicare per chiedere aiuto.

Un limite, il mio, che mi sono trascinata fin dopo la nascita di Cesare.

Ricordo quando mi dissero che la valigia per il bimbo da portare in ospedale doveva essere pronta già dal settimo mese e io che non vedevo l’ora di iniziare a fare acquisti per riempirla dopo aver passato i primi due trimestri osservando ogni delizia per gli occhi immaginandola anche indossata dall’ometto che portavo in grembo.

“Che taglia dovrò comprare?” I miei problemi iniziarono proprio da questa frase.

Convinta di partorire un vitellino mi ritrovai con tutine immense sfruttate dalla nascita fino a quasi il terzo mese di vita. Una difficoltà nel regolarmi con le taglie che non solo avevo sempre avuto ma che continuavo a portarmi dietro anche in un momento in cui avrei dovuto imparare a distinguere le varie misure.
Nemmeno “ad occhio” ero in grado di acquistare qualcosa a mio figlio senza sbagliare taglia.

Mi ci volle quasi un anno per imparare a conoscere i vari brand e le varie misure. Un anno in cui quella sensazione di shopping compulsavo che solo una mamma può conoscere, non mi aveva abbandonata nonostante le enormi delusioni del non saper comprare qualcosa senza fare errori.

Quando però le cose cambiarono, posso dire a gran voce e con orgoglio che mi si aprì un mondo.

Un intero anno di errori mi permise di comprendere cosa voler comprare e cosa dover evitare e, successivamente alla nascita di Vincy, non solo avrei potuto spendere cifre da capogiro ad occhi chiusi ma iniziai a fissarmi sul fatto che i miei bambini DOVEVANO obbligatoriamente indossare almeno un outfit identico ad ogni stazione.
Un idea che non mi sarebbe mai piaciuta concretizzare se fossero stati gemelli. Ma il fatto che non lo fossero e proprio perché tra di loro sembrava quasi che i geni di entrambi fossero stati prelevati da quattro persone diverse tanto da non sembrare nemmeno fratelli, era un modo per me per vedere in loro qualche piccola somiglianza.

Stessi vestiti dello stesso colore, stessi vestiti di colori diversi o complementari.
Una fantasia realizzata solo dopo che entrambi avevano compiuto almeno un anno e mezzo.

I loro quasi due anni di differenza infatti, non hanno mai giocato a mio favore nel riuscire a trovare un brand che mi permettesse di mettere in pratica questo piccolo capriccio. Nonostante non chiedessi la luna, trovare dell’abbigliamento identico con taglie diverse era però spesso impossibile.

Passati i due anni e riuscita nell’intento, con l’arrivo della terza gravidanza ho visto sfumare per la seconda volta l’idea di avere tre piccoli gemelli diverse invece di due.

La nascita di Enea mi portava a non poter avere a disposizione dell’abbigliamento identico ai fratelli proprio a causa della stesso problema avuto con la nascita del mio secondogenito. Avrei dovuto attendere.
Ma la pazienza è una dote che è stata distribuita mentre io ero impegnata a fare altro.

Poi il miracolo.

Da sempre fissata con il brand Chicco fin dal primo figlio, anche per la terza gravidanza mi sono ritrovata spesso nei loro punti vendita alla ricerca di abbigliamento e accessori per il piccolo in arrivo. E proprio durante una di queste gite ho rischiato quasi di avere un colpo al cuore per la felicità.

Dopo quasi quattro anni di attesa, proprio da Chicco, ho riscoperto la linea Chicco e con capi decisamente molto più fighi e casual rispetto alla mia prima esperienza di acquisti con il primogenito.

Ci ho speso una fortuna? Diciamo che non ho badato a spese…

Credo di poter dire con assoluta certezza di non aver mai acquistato così tanto abbigliamento Chicco come negli ultimi dodici mesi e posso dire a gran voce di averlo fatto con vera e propria soddisfazione.
Soprattutto perché le leggende ,metropolitane dicono e ribadiscono spesso che per i maschietti la scelta nell’abbigliamento non sia così vasta come per le femminucce. Invece non è così, non più almeno..

Dopo aver comprato per due intere stagioni un sacco di completini per due o per tutti e tre, quest’estate in quelle rare volte in cui sono stata in grado di far indossare ai miei bambini qualcosa che non fossero mutande, costume e canottiere gli ho fatto sfoggiare l’ultimo completino che mi ha rubato il cuore: una bellissima polo in cotone con doppio colletto jeansato e piqué abbinato ad un bermuda bianco che d’estate fa bene anche ai bambini.
Ovviamente creando un outfit identico per tutti e tre.

Ho sorriso quando andando a spasso mi sono sentita chiedere diverse volte se i più grandi fossero gemelli, esattamente come ho sorriso nel guardare il più grande e il più piccolo l’uno a fianco all’altro avendo la sensazione di fare un salto nel passato.

Mi è piaciuto vedere come con grande entusiasmo ogni volta accolgono questo mio piccolo cruccio nel volerli vedere vestiti uguali, e come il “essere uguale a” li faccia sentire più sereni e vicini l’un l’altro con orgoglio.

Una collezione, quella appena conclusa, che mi ha letteralmente conquistata in attesa di poter andare a vedere i nuovi arrivi per l’inverno.

Arrivi che per questione geografiche probabilmente inizieremo ad acquistare tra qualche settimana ancora.

Ma non demordo nell’attesa. Perché so già che riuscirò a trovare sempre quello che potrà soddisfarmi essendo in grado anche accontentare i miei bambini.
E perché se un tempo le collezioni di Chicco non sposavano moltissimo i miei gusti e la mia idea di abbigliamento per bambini, adesso è stata in grado non solo di fare centro ma anche di farmi recuperare tutto il tempo perso in passato con le mie ricerche e tempo sprecato.

Per il momento quindi ci godiamo ancora il caldo, il sole e le belle giornate. Ma alla prima occasione utile in cui si abbasseranno anche per sbaglio le temperature, tornerò al mio shopping compulsivo in men che non si dica, approfittando soprattutto del fatto che, almeno per una volta, non avrò nemmeno la presenza del marito ad ostacolarmi.

Cesare, Vincy ed Enea in outfit Chicco P/E 2017
Passeggino: Chicco Miinimo

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