Sono seduta in cucina, davanti al pc.
Scrivo parole, rispondo alle mail, mi divido tra quelli che sono i miei compagni di vita quotidiani composti principalmente da uno schermo luminoso che mi affatica e gli occhi. Il tutto mentre i bambini giocano nella stanza di fianco.
I rumori percepiti si dividono tra chiacchiericci diversi e silenzi assordanti. E, di questi ultimi, ogni tanto mi preoccupo.
Ogni tanto decido quindi di alzarmi da quella sedia che mi ospita per la maggior parte della giornata e, con la scusa di sgranchirmi le gambe, semplicemente sbircio nella stanza dei miei figli. Li spio, li osservo.
Li osservo in quei silenzi sospetti che ogni tanto mi portano a stupirmi sul come sia incredibile che non stiano litigando o, più semplicemente, che siano impegnati e concentrati nel fare qualcosa che avevo chiesto loro poco prima. Magari anche con una certa insistenza.
Li ritrovo assorti nel fare qualcosa, tanto da non accorgersi della mia presenza.
Tanto da non capire di essere sotto controllo e sotto esame. Perché in qualche modo, forse sbagliando, in mia presenza lo sono quasi sempre.
Ed è in quei momenti di pace che percepisco che probabilmente con loro, più spesso del dovuto, sono troppo dura.
È in quei momenti che mi interrogo sulle mie capacità e il mio modo di gestirli e di gestire il mio essere madre.
Perché non c’è un solo giorno in cui non mi chieda almeno una volta “starò facendo la scelta giusta?”.
E puntualmente non ho una risposta a questa domanda ma cerco di auto convincermi che possa essere sempre così. Consapevole di mentire a me stessa.
Sono certa, ad esempio, di essere spesso troppo dura con loro.
Sono certa, ad esempio, di essere altrettanto spesso troppo corrompibile.
E sono consapevole, molto più spesso delle due volte precedenti, che mi basta uno sguardo rivolto nel modo giusto per cambiare opinione più velocemente di un battito di ciglia.
E sono proprio questi i momenti in cui mi interrogo maggiormente.
“Avrò fatto bene a dire di sì?”
“Avrò fatto bene a dire di no?”
Essere un genitore porta a dover prendere delle decisioni e dover fare delle scelte che probabilmente sono le stesse che avevamo realizzato ancor prima di avere dei figli.
Quelle scelte del “quando sarò madre io quella cosa non la farò mai”, “quando sarò madre mio figlio…”, “quando sarò madre non farò mai le stesse cose che hanno fatto con me i miei genitori”. Realizzando, da genitori, che in realtà tutte quelle idee per lo più non erano poi così semplici da mettere in pratica.
Realizzando che, forse, chi è stato genitore prima di noi non aveva poi avuto così tanto torto nel prendere determinate scelte.
Mi interrogo ogni giorno e so, ogni giorno, di sbagliare almeno una cosa. Con l’unico obiettivo di cercare di porre rimedio nel meglio delle mie capacità.
E quando so, perché ne sono pienamente cosciente, di esagerare propendendo in un verso, m’impegno nel cercare di “recuperare punti” trovando delle soluzioni opposte alle scelte prese.
Quando sono troppo permissiva, e puntualmente i miei figli iniziano a vivere la fase “dell’approfittiamone”, cerco di tenere a freno l’entusiasmo facendo sì che si comprenda che anche i no sono necessari e che non tutto, almeno per adesso è sempre fattibile.
Ma anche quando i no diventano troppi, soprattutto per mancanza di quel tempo che ci impedisce di vivere in modo più spensierato alcuni momenti, cedere a dei sì è quasi d’obbligo.
E i nostri sì diventano ricordi e nuove abitudini, dalle quali poi è quasi impossibile separarsi.
I bambini sono bambini.
E bambini lo siamo stati tutti, ognuno a modo suo. E credo che nessuno possa mettere la firma sul fatto di essere sempre stato un bambino impeccabile e senza pretese.
Ma quando non si cede alle pretese, è comunque giusto cercare un modo tutto nuovo per concederle.
Di un pomeriggio ricordo che quel silenzio assordante che aleggiava nella stanza, era presente da un tempo più lungo del solito. E che tutta quella concentrazione sui libri e sui quaderni meritava in modo obbligatorio una pausa doverosa.
Così come anche io ne meritavo una dal lavoro.
Era il momento giusto per permettere a tutti di staccare.
Ed era il momento giusto per passare del tempo insieme, vivendo un sì solo nostro.
Avevano quasi terminato i compiti, e nonostante tutto ho voluto interrompere quel momento per viverci.
Un momento che ci avrebbe regalato qualche sorriso facendo qualcosa di semplice.
Li ho interrotti, ho chiesto loro se volessero fare una partita a carte e abbiamo semplicemente iniziato a giocare tra un mannaggia e una risata uscita dal cuore.
Abbiamo giocato, abbiamo vinto, abbiamo perso e abbiamo riso. È terminata qualche partita e spezzato il tempo dei doveri, ci siamo concessi il premio finale come conclusione perfetta di quel momento.
È stato un momento solo nostro.
Un momento extra che solitamente viene richiesto da loro ma che era giusto concederci in quell’esatto istante.
Perché i SÌ sono e saranno per sempre importanti e spesso indiscutibili.
Che non vuole dire solo cedere per una concessione o regalarsi un momento positivo ma anche poter fare di quel momento qualcosa che non sia per forza meritato.
Un momento che possa regalare attimi di serenità qualsiasi sia il contesto o la situazione.
I sì DEVONO fare parte del quotidiano per creare e continuare a d essere un giusto equilibrio nel rapporto con i propri figli per far sì che crescano con le giuste aspettative e metro di giudizio.
Lavorare sui Sì presi nel momento giusto, mi aiuta e ci aiuta ad essere persone migliori e ad avere un rapporto migliore.
Ci permette di viverci riprendendo i doveri con più entusiasmo ritagliando momenti che si trasformeranno in ricordi positivi e tempo di qualità che non potremo dimenticare.
E tutto questo è sempre e comunque un modo per riuscire a stare insieme.
Perché il potere di un Sì è importante. Può cambiare una giornata e può cambiare il nostro umore.
E Fruittella, che ci continua a sostenere in questa meravigliosa iniziativa, lo sa bene.